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Capitolo  V

La Società dei Consumi

Dal tuo punto di vista, il capitalismo è un sistema mondiale. Ciò significa che anche io e te viviamo in questo sistema. Eppure, non siamo cosi infelici

Si è evidente, abbiamo parlato anche in classe della pubblicità creata per indurci  a comprare, della moda, di tutto questo. . . Quando passeggio per la città o in uno di quei grandi centri commerciali della vicina  Francia, mi domando chi comprerà tutte quelle tonnellate di merce.

Hai affermato che le persone comprano cose di cui non hanno effettivamente bisogno. Mi rendo conto che succede anche a me. I consumatori sono dunque indotti a consumare più di quanto non necessitino realmente. Siamo poco furbi o_ cosa? Siamo soggiogati dal potere della moda? Per quanto mz riguarda, mi accorgo che è il desiderio di comportarmi come le mie amiche a farmi agire così...

  • E allora io cosa posso /are? Non voglio essere complice, nemmeno inconsciamente e contro il mio volere di questo tipo di società.'

So che ci sono altre cose che vengono prodotte con questa mo­dalità, in luoghi lontani ea prezzi molto bassi, come i giocattoli.. .

Mi stai dicendo quindi che subisco i danni del capitalismo anche in Svizzera, anche a Choulex, in aperta campagna?

-Jean, ho letto un articolo sulla più grande foresta plu­ viale del mondo, la foresta amazzonica. Il bacino amazzoni­ co si estende per circa 6 milioni di chilometri quadrati. Altri 500.000 km2 di foresta sono scomparsi negli ultimi venticin­ que anni; vale a dire approssimativamente la superficie della Francia. È davvero colossale 1

  • A ben vedere, io e te ci sguazziamo; il fatto è che in questo sistema profondamente iniquo, noi siamo senza dubbio tra quelli che lo subiscono meno. Abbiamo parlato di globalizzazione, del regno planetario di questi oligarchi che detengono il capitale finanziario globalizzato. . .

 

- Si, capisco. . .

  • Ebbene, il termine “globalizzazione” può essere fuorviante. Il mondo che i capitalisti hanno creato e che dirigono non è affatto omogeneo, ma assomiglia piuttosto a un arcipelago.

 

— Che cosa significa? La Svizzera non è un'isola!

È una metafora. L'arcipelago è infatti un gruppo di isole vicine tra loro che intrattengono importanti rapporti. Per analogia, alcuni sociologi parlano di “economia di arcipelago” per definire le reti economiche e finanziarie delle metropoli, i grandi centri industriali nel mondo che interagiscono con profonde relazioni di interdipendenza e che si sovrappongono ai mosaici degli Stati nazione. Tra queste isole di prosperità, interi paesi stanno scomparendo dalla storia, come navi fantasma. Tu vivi invece su una delle isole più ricche e potenti di questo arcipelago, l’Europa occidentale. Viviamo immersi nel sistema capitalista. La conformazione sociale che caratterizza la nostra vita collettiva di oggi è la società dei consumi. 

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La società dei consumi è davvero peculiare . i capitalisti l’hanno creata e promossa negli anni Cinquanta e Sessanta, dopo la Seconda Guerra Mondiale, nelle isole prospere dell'arcipelago. Dopo la guerra, si doveva ricostruire un’economia di pace. Per sostenere il capitalismo, per assicurare l’accumulazione di capitale e per generare profitti in continuo aumento era necessaria una produzione sempre crescente, diversificata, competitiva, con un ritmo di innovazione

accelerato.  Di  riflesso, la società  dei consumi  ha assicurato  "abbondanza" ai suoi abitanti. La sua divinità è la merce, alla quale i consumatori vendono l'anima.

La società dei consumi si basa su alcuni semplici principi: i suoi membri sono clienti incentivati ad acquistare, consumare, buttare e riacquistare beni nella massima quantità possibile, an­ che se non ne hanno realmente bisogno. Questi prodotti sono concepiti e progettati per avere un ciclo di vita di breve durata.

Tua nonna Erica mi racconta sempre che da giovane lei e le sue amiche spendevano una fortuna in calze, tanto da rammendarle a ogni minimo strappo. Le calze di nylon apparse sul mercato negli anni del dopoguerra erano così resistenti che fecero crollare le vendite. I produttori allora decisero di cambiare le percentuali di composizione del nylon, in modo che le calze si smagliassero. Le povere donne si videro allora costrette a sostituirle praticamente ogni settimana.

Per non parlare dei cellulari al giorno d'oggi! Sono oggetti molto fragili e ogni nuovo modello è dotato, di funzio­ ni sempre più sofisticate. Il software di ultima generazione rimpiazza quello precedente! Resta sottinteso quindi che è 

necessario comprarne subito uno nuovo. Di fatto i cellulari sono programmati per essere sostituiti di continuo.

Si definisce "obsolescenza programmata" la volontaria riduzione del tempo di vita di un oggetto al fine di accelerarne il suo ritmo di sostituzione. Certi produttori si avvalgono di una straordinaria inventiva per rendere le proprie merci meno resistenti e venderne di più. Cosa succederebbe se le nostre lampadine durassero vent'anni? Le industrie che producono lampadine potrebbero fallire. Evidentemente questo è il tipo di ragionamento che ha indotto i costruttori a trovare più o meno una sorta di accordo per programmare la durata delle loro produzioni. Allo stesso tempo però in Francia per esempio ogni anno si guastano 40 milioni di prodotti, che non vengono riparati e ciò comporta migliaia di tonnellate di rifiuti! I costi e i danni ambientali provocati dallo "smaltimento" dei rifiuti sembrano ormai preoccupare anche i governanti.

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In effetti, la società dei consumi si assicura di definire

quali siano i tuoi bisogni, instillando ogni giorno nuove ne­ cessità, creando continui desideri, inculcandoli nel cervello del consumatore.

La moda relativa ali'abbigliamento, e mi rendo conto di

quanto sia importante per voi giovani, cambia ogni anno. Senza dubbio hai diversi amici che si sentono a disagio nell'indossare e andare in giro con jeans, magliette e giacche ritenute fuori moda. E i genitori devono far fronte a tutto questo! Gli strumenti che i capitalisti sfruttano per indurre questo tipo di bisogni si chiamano "marketing" e "pubblicità", due tra le pratiche più stupide e dannose che l'essere umano abbia inventato. Dai un'occhiata anche solo nel tuo 

paesino di Choulex a quanti adesivi con la scritta "Niente pubblicità per favore" siano appiccicati sulla maggior parte delle cassette delle lettere.

 

  • Verissimo, ce n'è uno anche sulla nostra'

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Sì, ma alla fine non serve a molto, se non a manifestare una legittima intolleranza difronte all'accumulo di inutile mate­ riale pubblicitario stampato, che altro non veicola se non un'e­ sortazione al consumo. Gli esperti del ma_rketing sono astuti, perseguitano il consumatore ovunque vada, Io accerchiano, lo assillano al telefono, infliggendogli i loro cosiddetti "messaggi". In televisione, prima che tu possa accedere a un telegior­ nale o a un programma che ti interessa, sei costretta a subire una sequela di "messaggi" insulsi. La stessa cosa avviene al cinema. Se vuoi vedere un film devi resistere preventiva­ mente alla sfilata di annunci pubblicitari, uno più idiota dell'altro, per almeno venticinque minuti. Su internet ancora peggio; e dal momento che un gran numero di persone vive con gli occhi incollati al cellulare, si ritrova costantemente bombardato da messaggi subliminali, che operano cioè sul loro inconscio. Ebbene, questi messaggi hanno in definitiva

       un effetto sul loro comportamento.

 

  • Cosa posso fare allora contro tutta questa pubblicità? Io

        adoro andare al cinema!

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Non puoi farci nulla, se non chiudere gli occhi, tapparti le orecchie, disdegnare la pubblicità e resistere. Le pubblicità sono ovunque, inquinano persino Io spazio pubblico. Specialmente in Francia, si sono costituiti gruppi di cittadini che lottano per liberare lo spazio pubblico dagli annunci e vietare i cartelloni pubblicitari privati, ma invano. I'inviolabile libertà del mercato ha offuscato le autorità, che hanno optato per un consumo indotto a sfavore dei cittadini. Si sono comunque promulgate leggi che disciplinano le affissioni pubblicitarie alle periferie dei centri abitati. Certo è meglio di niente, ma...

 I mercenari del marketing e della pubblicità rivestono un ruolo essenziale in             questa società dei consumi: generano, suscitano e inducono il desiderio di consumo; orientano il comportamento dei consumatori; fanno shopping, una pa­ rola inglese apparsa contestualmente ali'ascesa della società dei consumi, spacciandolo come un divertimento, una meta turistica, un piacere di per sé. Chiedi a tuo fratello Théo che, malgrado tutte le mie rimostranze, è disposto a fare la fila per ore davanti ai negozi di abbigliamento giovanile per riuscire ad acquistare capi all'ultima moda! E tutto questo non fa che aumentare il profitto dei produttori e dei distri­ butori, ovvero dei capitalisti.

 

  • Ma la gente è felice!

- È normale che le persone siano contente di poter soddi- sfare i loro desideri, anche se questi desideri sono stati creati da altri, come fossero stati "impiantati" nel loro cervello da degli "estranei".

Purtroppo, questa economia dell'abbondanza ha un lato

oscuro, che comporta Io sfruttamento delle materie prime e dell'energia necessarie alla produzione di oggetti, un accesso ineguale ali'abbondanza, la gestione dei rifiuti, la dissolu­ zione dei valori in un consumo individuale inevitabilmente egoistico, l'angoscia dovuta alla necessità di mantenere un livello di reddito sufficiente per sostenere questa modalità di consumo, la svalutazione e persino l'abolizione del valore d'uso. Senza contare che tre quarti degli abitanti del mondo non hanno accesso a questa abbondanza.

 

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  • Rifletti sugli abiti che indossi! I tuoi genitori li hanno

comprati nei grandi magazzini e sono di marca. Questi nego­ zi appartengono a imprese di produzione che, praticamente nella loro totalità, delocalizzano la produzione dei loro capi di abbigliamento, delle loro calzature e dei loro accessori laddove il costo del lavoro è minore, in "zone speciali di pro­ duzione", come il Bangladesh, la Cina, le Filippine o Taiwan. 

Alcuni, come Zara, hanno puntato sulla combinazione di qualità, prezzi bassi e quantità. In poco tempo hanno conquistato un mercato immenso, perché vendono abiti con un'ottima vestibilità, di buona qualità, a prezzi incredibil­ mente stracciati, in grado di stroncare la concorrenza.

Ho avuto modo di visitare il Bangladesh e la sua capitale Dacca in qualità di relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all'alimentazione. Non dimenticherò mai quei casermoni di cemento grigio di dieci o dodici piani, con le piastrelle rotte, il mobilio scadente e le scale strette e traballanti, che sfigurano la periferia della capitale. Ventiquattro ore al giorno, schiere di giovani donne si danno il cambio davanti alle macchine da cucire. Il Bangladesh ha circa 6.000 fabbri­ che di abbigliamento. Queste fabbriche sono di proprietà di uomini d'affari indiani, bangladesi, taiwanesi e sudcoreani, molti dei quali sono veri e propri avvoltoi. Gli schiavi taglia­ no e cuciono jeans, giacche, pantaloni, camicie, magliette, biancheria intima, confezionano scarpe e palloni da calcio per i marchi più importanti del mondo. Le multinazionali dell'abbigliamento e i loro subappaltatori asiatici in Bangla­desh stanno realizzando profitti vertiginosi.

L'Ong svizzera Public Eye ha analizzato l'evoluzione del plusvalore generato dal lavoro di queste donne. Un paio di jeans del marchio Spectrum-Sweater viene così venduto a Ginevra per 66 franchi svizzeri, ovvero circa 54 euro. La sarta del Bangladesh riceve in media 25 centesimi di euro di questa somma. Nel 2016,_ il salario minimo legale in Bangladesh era di 51 euro al mese. Secondo la federazione sindacale Asia Floor sarebbe necessario un salario mensile di 272 euro per garantire il sostentamento minimo a una famiglia di quattro persone. Non solo le sarte che confezionano gli abiti che indossi soffrono di malnutrizione e miseria, ma a volte capita che crollino i palazzoni di cemento dove la­ vorano. Nel 2013, per esempio, l'edificio Rana Plaza, una fabbrica fatiscente di dieci piani a Dacca, è crollato, seppel­lendo 1.138 persone, per lo più ragazze, sotto le macerie. Nessuno dei responsabili è mai stato condannato.  

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  • Ma sì, Zohra, questo è il sogno della maggior parte dei capitalisti: per ricavare un profitto è necessaria una produ­ zione a costi ridotti, il che significa sottopagare i lavoratori e disporre poi di un esteso mercato nei paesi prosperi per commercializzarne le merci. Non è difficile immaginare quali siano i settori che funzionano meglio: l'abbigliamento, i gio­ cattoli, i telefoni cellulari ecc.

In Occidente ad oggi uno dei maggiori rischi che i lavo­

ratori e le lavoratrici devono fronteggiare è proprio la delo­ calizzazione delle loro fabbriche in paesi dove i salari sono minimi e la previdenza sociale è debole, se non inesistente. Anche questi ultimi ne pagano il prezzo, dal momento che la disoccupazione diventa condizione permanente.

 

-Quindi nessuno può sottrarsi alla società dei consumi?

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Finché i capitalisti regneranno su questa terra, temo di no. Perché non è soltanto attraverso i consumi indotti che sei parte di questo sistema, il capitalismo ti ammalia comunque in mille altri modi.

I capitalisti distruggono sistematicamente il pianeta; dovunque tu viva nell'arcipelago, l'inquinamento può ucciderti o quanto meno farti ammalare gravemente. In numerose metropoli l'aria è diventata irrespirabile, satura di sostanze tossiche che attaccano le vie respiratorie e pro­ vocano tumori. Allo stesso modo, l'acqua inquinata delle sorgenti, delle falde acquifere e dei fiumi avvelena milioni di persone in tutto il mondo. E l'acqua contaminata, o i servizi igienici inadeguati, non uccidono solo le persone nei paesi del Terzo Mondo...

Nei paesi industrializzati, i dipendenti e gli operai sono costantemente a contatto con materiali tossici, come I'amian­ to, ad esempio, un prodotto minerale utilizzato nel cemento e nei materiali isolanti, il cui assorbimento attraverso le vie respiratorie causa il cancro. Anche l'inquinamento presente nei luoghi di lavoro è fonte di malattie, disturbi e morte 

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Certo, è evidente! Prendi ad esempio il cibo. So che i tuoi genitori evitano gli alimenti industriali surgelati. Com­ prano frutta e verdura fresca al mercato. Ma ovunque ormai il cibo è contaminato dai pesticidi ed è praticamente im­ possibile evitare questi veleni. L'anno scorso, gli agricoltori francesi hanno riversato sulla loro terra decine e decine di migliaia di tonnellate di pesticidi, che. poi sono finiti nell'uva, nelle carote, nel latte ecc.        ·

Per preservare i loro vitelli e i loro maiali dal rischio di in­ fezioni - e come logica conseguenza per tutelarsi da una crisi finanziaria - la maggior parte degli allevatori imbottiscono il proprio bestiame con antibiotici ... che inevitabilmente fini­ scono nelle costine e nelle bistecche sui banchi dei macellai.

Secondo un'indagine dell'Unione Europea, ogni individuo in Europa assimila ogni anno l'equivalente di 5 litri di pesticidi. Lascia che ti faccia un esempio recente. Il glifosato è di gran lunga l'erbicida più usato in Europa. Praticamente secondo tutte le indagini mediche condotte dall'Unione Europea, sembra che possa causare il cancro. Tuttavia, nell'ottobre 2017 la Commissione europea, subendo la pressione dei trusts del settore chimico in ambito agrico­ lo, ha rinnovato comunque  la validità  di  un  periodo pari a cinque anni di utilizzo di questo  prodotto  nonostante una petizione di oltre un milione di cittadini ne avesse

rivendicato una messa al bando immediata.

Un recente rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità riferisce che nel mondo quasi il 60% dei casi di tumori è dovuto agli effetti dannosi di un ecosistema deregolamen­ tato o di un'alimentazione inadeguata. Vuoi che continui?

 

-Sì ! Mi interessa.

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Come avrai studiato a scuola, le grandi foreste pluvia- li sono i polmoni verdi del pianeta. Proteggono lo strato di ozono e rendono l'atmosfera vivibile. Ma di tutte le violenze inflitte alla natura da parte del capitale finanziario multi-

nazionale, la devastazione delle foreste pluviali è una delle peggiori, distrutte dallo sfruttamento eccessivo messo in atto dalle società transnazionali del legname. Inoltre, i grandi conglomerati agroindustriali sono costantemente alla ricerca di nuovi terreni per espandere le loro piantagioni o aumen­ tare l'allevamento estensivo del bestiame. Per questo moti­ vo ogni anno bruciano decine di migliaia di ettari di foresta vergine. Attualmente le foreste tropicali coprono solo il 2% circa della superficie terrestre, ma ospitano quasi il 70% di tutte le specie vegetali e animali. Nell'ultimo mezzo secolo, l'area totale della foresta vergine si è ridotta di oltre 2.350 milioni di ettari: il 18% delle foreste africane, il 30% delle foreste oceaniche e asiatiche e il 18% delle foreste dell'America Latina e dei Caraibi sono state completamente distrutte. La biodiversità sta diminuendo in maniera  allarmante: ogni giorno delle specie vegetali e animali vengono defini­tivamente cancellate, con oltre 50.000 specie scomparse tra il 1995 e il 2015.

 

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- In effetti, sei davvero ben informata, Zohra. L'Istituto nazionale di ricerche spaziali (Inpe), con sede a San Paolo in Brasile, monitora il bacino amazzonico con satelliti che fotografano regolarmente il progredire della desertificazio­ne. L'Istituto ha iniziato il suo lavoro di monitoraggio nel 1992. Da allora, più di 530.000 chilometri quadrati sono stati distrutti. Come saprai, ci sono miliardi di insetti con un'incredibile varietà di dimensioni e colori che, in natura, svolgono  una miriade di funzioni diverse, tutte essenzia­li. Nel 2017, una commissione internazionale d'inchiesta scientifica ha rilevato che, in 30 anni, il numero di insetti a terra e nell'aria è diminuito di oltre 1'80%. 

  • E questo è connesso alla distruzione delle foreste?

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Anche. Ma i principali colpevoli sono da ricercare nei metodi di produzione dell'agricoltura capitalista, nei pesticidi, nella corsa al massimo profitto, nelle dosi letali di fertiliz­ zanti chimici sparsi sulle colture ecc.

 

  • In classe abbiamo assistito a una lezione sulla scomparsa delle api...

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Questo è un buon esempio! Da noi, decine di milioni di api sono morte a causa di un agente chimico, il sulfoxaflor, un insetticida che è stato immesso nell'ambiente. Ebbene, in natura le api giocano un ruolo cruciale. Non solo per la produzione di miele, ma soprattutto per il trasporto di polline tra le specie vegetali. Centinaia di migliaia di cittadini si sono mobilitati contro il sulfoxaflor, ma senza alcun risultato. I padroni dell'industria agrochimica hanno vinto la battaglia. Insomma, ovunque tu viva su questo pianeta, tanto a Chou­ lex quanto in Bangladesh, su un'isola di benessere o in un luogo decaduto dell'arcipelago, il sistema capitalista determina la tua esistenza. È altamente tossico, mortale per la na­ tura e per gli esseri umani. E ha tutto l'interesse a mantenere le popolazioni divise, gli occidentali lobotomizzati e i popoli dell'emisfero Sud in ginocchio.

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